Bukurungu Trail: un nuovo trekking nel Rwenzori in Uganda
Pierangelo Lombardo presenta il Bukurungu Trail, un sentiero e trekking poco conosciuto nella catena montuosa del Rwenzori in Uganda
Il Rwenzori è una catena montuosa a ridosso dell’Equatore, fra Congo e Uganda, celebre per i paesaggi spettacolari che offre e in particolare – cosa unica in Africa – per la presenza di ghiacciai sulle cime principali. Oggi esistono molti percorsi escursionistici e alpinistici nel parco del Rwenzori, il più famoso dei quali è probabilmente il Central Circuit, che è già stato descritto in questo articolo: Rwenzori e Cima Margherita, la terza montagna più alta d’Africa
Un’alternativa meno conosciuta è il Bukurungu Trail, che è stato da poco aperto al pubblico (io e il mio compagno di viaggio Emanuele Durì abbiamo avuto l’onore di essere stati fra i primi turisti a percorrerlo). Questo sentiero parte da un piccolo villaggio chiamato Omukorukumi, a nord della valle del Mubuku (ovvero quella percorsa dal Central Circuit) e, dopo aver attraversato alcune valli stupende e selvagge – fra cui la valle del Bukurungu, da cui il sentiero prende il nome – si congiunge al Central Circuit nei pressi del campo Bigo, alle pendici del monte Stanley.
Il Bukurungu Trail si distingue dal Central Circuit per essere meno agevole e meno frequentato: il sentiero è spesso poco più che una traccia e i campi in cui si bivacca non sono altro che radure nelle quali è possibile montare le tende. A differenza del Central Circuit, non si trovano quindi le passerelle di legno che facilitano il passaggio nelle zone più fangose e neppure le capanne per il pernottamento, almeno per ora (sinceramente spero che rimanga tale, perché la (quasi) assenza di tracce antropiche aggiunge un tocco di avventura al viaggio).
L’accesso principale al parco del Rwenzori è segnalato da pannelli informativi in legno e da un grosso cancello: qui finisce la strada carrozzabile e inizia il Central Circuit; invece lungo il Bukurungu Trail non si incontra alcuna struttura che segni il confine del parco e il cambiamento è molto più sfumato: risalendo il sentiero dopo l’ultimo villaggio ci si imbatte ancora in gruppi di capanne, che diventano però sempre più rade, così come le coltivazioni di banane, mais, caffé e manioca che sono sempre più spesso intervallate da zone incolte. A circa 2400 metri di quota non si trova più alcun villaggio né alcuna zona coltivata e ci si ritrova in una giungla rigogliosa; si capisce allora di essere entrati nel parco.
A dire il vero la vegetazione all’interno del parco è estremamente varia e cambia principalmente in funzione dell’altezza: alle quote più basse (fino a circa 2800 metri) si trova generalmente la foresta pluviale tropicale e poco più in alto, ma solo in alcune aree, si incontra la foresta di bamboo. Dopodiché, salendo oltre quota 3000 metri, ci si imbatte in un ambiente estremamente peculiare di quelle regioni, detto “heather zone”, nel quale la specie predominante è una varietà di erica arborea (“giant heather”) caratterizzata da un lichene che forma lunghi ciuffi che scendono come capelli dai rami, donando alle piante un aspetto buffo ma anche inquietante, soprattutto se avvolte nella nebbia come spesso accade. Ancora più in alto (sopra i 3500 metri circa) si ha un tipo particolare di brughiera (detto “Rwenzori-Virunga montane moorland”) con piante quali lobelia e dendrosenecio, entrambi nella versione “gigante”: anche questo ecosistema è molto peculiare e si può vedere qualcosa di simile soltanto in alcune zone di alta montagna dell’Africa centro orientale. Oltre i 4500 metri circa si trovano solo rocce e qualche muschio temerario, mentre a partire da circa 4700 metri si possono incontrare i ghiacciai. A gennaio 2018, quando siamo saliti sulla cima Margherita dello Stanley, i ghiacciai che abbiamo incontrato al di sotto della quota 4900 metri erano molto secchi (ossia con una superficie molto dura e completamente priva di neve), il che da una parte rendeva estremamente evidenti tutti i crepacci, ma dall’altra aumentava il rischio di scivolamento; questo è probabilmente legato alla progressiva riduzione dei ghiacciai sia in superficie sia in altezza.
Negli ultimi decenni si sta infatti assistendo ad una rapida recessione dei ghiacci del Rwenzori. Un cartello sopra l’uscio della capanna Elena, nel campo più alto sul Monte Stanley, riporta la scritta “Remember that global warming is real”: un tempo un ramo del ghiacciaio arrivava a pochi passi dal rifugio, ma ormai si ferma molto distante, a una quota superiore di circa 250 metri.
Click Here: Pandora Jewelry Questa recessione non è che una delle tante manifestazioni del drammatico cambiamento climatico che sta avvenendo a livello globale e che – come ormai assodato nella comunità scientifica, anche se non fra tutti i politici – è dovuto in gran parte all’azione dell’uomo. Quindi, ahimè, è probabile che fra alcune decine di anni arriverà il giorno in cui la magia dei ghiacciai del Rwenzori che dominano le foreste tropicali sottostanti potrà soltanto essere immaginata a partire dalle vecchie fotografie e relazioni. Fortunatamente però quel giorno non è ancora arrivato.
Il mese di gennaio fa parte di una delle due stagioni secche (la prima va da dicembre a febbraio, la seconda da giugno ad agosto), ed è altamente consigliato scegliere queste stagioni per visitare il parco. Sarebbe certamente interessante vedere i tremendi temporali delle stagioni delle piogge, con tutto quello che ne consegue: acquitrini, fango, paludi, torrenti impetuosi, etc. ma, come si può immaginare, camminare in un ambiente del genere è molto più difficoltoso (anche considerata la maggiore quantità di insetti e quindi la maggiore probabilità di contrarre malattie infettive alle basse quote). A dire il vero anche la “stagione secca” non è poi così secca: la giornata tipica è serena e soleggiata solo nel primo mattino, con nubi e nebbia che sembrano formarsi nella foresta stessa e risalire verso le montagne per preparare la scena ad un pomeriggio nuvoloso e umido, talvolta con una leggera pioggia e per poi rasserenarsi nuovamente come per magia nella tarda serata. Tutta questa umidità permette alla vegetazione di essere oltremodo verdeggiante e rigogliosa, ma produce anche parecchio fango, nel quale è talvolta inevitabile sprofondare, rendendo quindi più utili gli stivali di gomma che le scarpe o gli scarponi da trekking, almeno al di sotto dei 4000 metri di quota.
Come nota conclusiva, per chi fosse interessato a camminare in questo parco bellissimo e affascinante, la decisione di affidarsi alla guida di autoctoni è senz’altro una possibilità da considerare. In questo caso, oltre ai paesaggi naturali precedentemente descritti, il vostro viaggio vi farà conoscere persone meravigliose che lavorano duramente per guadagnare un po’ di soldi e poter garantire un’istruzione adeguata ai loro figli e vi permetterà di contribuire al loro sostentamento. Per chi fosse interessato ad un racconto dettagliato del viaggio mio e di Emauele o ad informazioni utili per organizzare un trekking nel Rwenzori, segnalo questo link: dovetenevai.wordpress.com/2018/02/25/hikig-rwenzori-mountains