Tra le storie di alpinismo e arrampicata del 2013
Breve e assolutamente non esaustivo viaggio tra le storie e le salite del 2013, aspettando l’anno che verrà.
E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito… e l’oggi dove è andato l’ieri se ne andrà… Lasciandomi ancora una volta trasportare dal maestro Guccini mi trovo a ripensare a quel che è stato, nell’alpinismo e nell’arrampicata, in quest’anno che tra poche ore finirà. Ma tutto sembra così lontano. Confuso, anche nei ricordi. Cos’è che ci hanno lasciato queste salite? Cos’è stato importante? Altre volte ho avuto la “sconsideratezza” o la presunzione di cercare di mettere in fila gli avvenimenti, le realizzazioni, le salite dell’anno. Ma per questo 2013 l’operazione sembra impossibile, o meglio quasi inutile. Sarà perché il futuro già ci rincorre e va molto più veloce di noi. O sarà perché a far classifiche, nell’alpinismo come in arrampica, non ci si prende mai anzi si rischiano “guai”. Fatto sta che quest’anno più che in altri non riesco ad uscire dalle “storie” di ciò che è stato. Sarà forse perché le storie, o meglio come s’intrecciano con la vita, da sempre rendono del tutto particolare, e per certi versi imperdibile e affascinante, l’andare per montagne e pareti?
Pensate per esempio alla salita solitaria della Sud dell’Annapurna dello svizzero Ueli Steck. Sì, proprio una a caso direte voi, sapendo che per moltissimi questa è la salita dell’anno e non solo. Ma seguitemi nel ragionamento, e nella storia. Il 2013 per Ueli non era cominciato per nulla bene. Alla fine di aprile, mentre stava acclimatandosi sul versante Sud dell’Everest con Simone Moro e Jon Griffith, era stato protagonista suo malgrado di un vero e proprio episodio di “cronaca nera” in altissima quota. Ovvero della “famosa” rissa che prima aveva visto i tre alpinisti scontrarsi con alcuni sherpa che stavano installando le corde fisse tra il Campo 2 e 3. E, poi, fatti oggetto di un vero e proprio minaccioso assedio che poteva avere conseguenze gravissime. Un fatto senza precedenti che ha fatto il giro del mondo. Frutto probabilmente di incomprensioni e sicuramente di errori, ma anche di quel “clima malato” che da tempo si vive sull’affollatissima montagna più alta del mondo. Problemi che restano ancora tutti lì in cerca di una soluzione, e che ritroveremo anche nel prossimo futuro. Fatto sta che Ueli ne è uscito profondamente scosso e turbato. Tanto che quasi non ne voleva parlare… Come superare il trauma?
La strada Ueli sembra averla trovata il 9 ottobre scorso, appunto sulla Sud dell’Annapurna. Su quell’immensa e anche pericolosa parete ha fatto l’impensabile: l’ha salita da solo, in 28 ore dal campo base avanzato alla cima e ritorno, risolvendo così quella direttissima già tentata, nel lontano 1992, da due fuoriclasse come Jean-Christophe Lafaille e Pierre Beghin. Un salita enorme! “Le condizioni erano perfette” ha minimizzato subito Steck. Mentre non si è scomposto più di tanto per rispondere a chi gli obbiettava che non potesse produrre alcuna prova del tutto, visto che la macchina fotografica gli era caduta nel vuoto prima del vetta. D’altra parte il valore di Steck, con il suo curriculum di salite solitarie, tutte incredibili e tutte a velocità supersonica, è indiscutibile. A questo punto della storia si potrebbe dire che (anche questo) è l’alpinismo bellezza… Ma la conclusione più importante arriva proprio dallo stesso Steck: “Il mio fuoco interiore brucia ancora.” ci ha detto dopo l’Annapurna “Si era quasi spento dopo l’Everest. Ora divampa di nuovo pienamente. Sono contento per questo, penso che sto iniziando nuovamente a divertirmi nella vita!”. Una storia, dunque, che si conclude con un nuovo inizio. E questo, mi sembra e mi piace pensare, è qualcosa che va ben aldilà della velocità e dell’impresa.
Come va ben aldilà un’altra storia, solo all’apparenza del tutto diversa. Sembrerà strano, ma siamo sempre sulla Sud dell’Annapurna. E’ il 17 ottobre, e Yannick Graziani e Stéphane Benoist attaccano anche loro la direttissima. Sono passati solo 8 giorni dalla strabiliante e velocissima salita di Steck, intanto però le condizioni in parete sono cambiate. Così le due guide alpine francesi impiegano 8 giorni per arrivare in vetta, in mezzo a mille difficoltà. Poi, la difficilissima discesa con Benoist che non sta bene, ha dato tutto e sa che ancora deve superarsi. Impiegheranno altri due giorni per scendere al Campo Base, mentre nessuno ha loro notizie. Dopo 10 giorni in parete a Benoist restano i congelamenti alle mani. Ma anche un’esperienza che gli ha fatto dire: “Credo sempre di più nella cordata. Sono diventato quello che sono grazie ai miei compagni di cordata”. E allo stesso tempo definire la salita di Steck “rivoluzionaria”. Ecco, forse è questo che rende ogni salita irripetibile e unica. E che fa grandi le avventure, sempre diverse e sempre irrinunciabili, dell’alpinismo. Sia quando sono veloci, impossibili e solitarie come quella di Steck, sia quando sono epiche come quella di Benoist e Yannick.
Poi di storie da raccontare ce ne sarebbero ancora molte. Andando in ordine sparso mi vengono in mente quella di Matteo Della Bordella e Luca Schiera che, a marzo, hanno effettuato la prima salita della parete Ovest della Torre Egger concludendo un viaggio iniziato tre anni prima insieme a Matteo Bernasconi. Sempre sulla stessa parete, si aggiunge il recente tentativo di risolvere la “direttissima” (terminato molto in alto) di Ermanno Salvaterra, Tomas Franchini, Paolo Grisa e Francesco Salvaterra. Dei primi vorrei sottolineare la perseveranza e il coraggio di lanciarsi in quest’avventura (Luca Schiera da assoluto neofita della Patagonia). Dei secondi, la solita forza irrefrenabile di Ermanno e di tutto il team, nonché il gran progetto che in futuro di sicuro li rivedrà in campo.
Per il capitolo storie particolari invece, David Lama meriterebbe una sezione a parte. E non solo perché è uno degli alpinisti più forti in circolazione e anche uno dei più completi. Anche nel 2013 infatti non può sfuggire la sua attività a tutto campo. Da segnalare, oltre alla prima invernale (con Auer e Ortner) della Sagwand e l’apertura (sempre con Ortner) di Sprindrift sulla parete nord del Laserz, anche Bird of Prey la gran via aperta ad aprile con Dani Arnold sull’inviolata Headwall del Moose’s Tooth in Alaska. Senza scordare le due solitarie: ancora sulla Sagwand a maggio, e l’altra lo scorso 8 dicembre con l’apertura di una nuova via sulla nord della Hohe Kirche, sempre nella Alpi austriache. Insomma la storia futura ci dirà.. ma Lama è già uno dei protagonisti più importanti del nuovo alpinismo.
Un “nuovo” che non può prescindere, guarda caso, anche da Simon Anthamatten e Hansjörg Auer che insieme a Matthias Auer hanno firmato una delle più interessanti e belle realizzazioni dell’anno con la prima salita del Kunyang Chhish East, in Karakorum. Il tutto in gran stile alpino. Poi è chiaro che di belle salite con annesse storie ce ne sono state ancora molte. Come la prima salita della SE della Torre Sud del Paine da parte di Mike Turner, Jerry Gore, Calum Muskett e Raphael Jochaud, anche se per la bufera non sono saliti in cima. O sul Great Trango Tower in Pakistan la storia di Bushido, la difficile via aperta dai polacchi Marek Raganowicz e Marcin Tomaszewski a cui si è aggiunta una impressionante discesa nella bufera. Oppure quella di Sean Villanueva, Stephane Hanssens e Didier Merlin con le prime libere sulla Est del Cerro Catedral e del Cerro Cota 2000 ma soprattutto sulla Nordovest del Fitz Roy dove hanno salito 900m di terreno vergine (su 1800m di sviluppo). Ma se le raccontassimo tutte, ricadrei proprio in quello che non volevo fare… E quindi mi scusino quanti, e sono tanti, non ho nominato.
Dunque c’è appena il tempo per passare all’arrampicata cosiddetta sportiva. E qui tra gradi impossibili in falesia come nel boulder si potrebbe aprire un capitolo infinito che, sospetto, scontenterebbe tutti. Così vorrei ricordare solo tre nomi. Anzi due storie. Prima di tutto quella de La dura dura, ossia di una delle tre vie più difficili del pianeta. A questo punto sapete già che parlerò di Adam Ondra che per primo l’ha liberata. Ma mai come in questo caso la storia non sarebbe completa se non ricordassi anche Chris Sharma, il secondo che l’ha salita. Sì, perché nella sbornia di super gradi in cui si rischia di venire sopraffatti, questa via ha qualcosa di particolare. Ondra e Sharma l’hanno arrampicata assieme. Entrambi da questo semplice arrampicare insieme hanno tratto beneficio e ricreato quello che poi è uno dei piaceri dell’arrampicata che va oltre ogni grado. E che ce l’abbiano ricordato loro, due dei più grandi climbers di tutti i tempi, è bello e anche “istruttivo”. Come serve, per ritornare all’essenza dell’arrampicata, l’altra storia del 2013 che vorrei ricordare. Quella di Alexander Megos che, quasi dal nulla ma certamente con un gran talento unito ad una passione smisurata, s’è portato a casa la prima a-vista assoluta di un 9a. Ora, non mettiamoci a discutere quanto vale o non vale… pensiamo invece a quanto possa essere bello il non essere nessuno (o quasi) e sognare di arrivare sotto una via di 9a e salirla onsight quando prima di te nessuno l’aveva mai fatto. Un sogno appunto… Beh il 19enne Megos questo sogno l’ha realizzato, e qualcosa mi dice che ne realizzerà degli altri. E questo mi sembra molto bello per tutti i… sognatori.
Ma siccome la vita non è quasi mai un sogno, non posso fare a meno di ricordare anche le storie che vorrei dimenticare. Quella di Maciej Berbeka e Tomasz Kowalski i due alpinisti polacchi che dopo la prima invernale al Broad Peak non hanno più fatto ritorno al Campo Base. Quella del giovanissimo Tito Traversa, una tragedia per la quale ancora non troviamo parole e resterà per sempre “incomprensibile”. Quella degli 11 alpinisti assassinati al Campo base del Nanga Parbat. Quella di Corrado “Icaro” De Monte di cui ancora avvertiamo la presenza. Quella, recentissima, di Rossana Podestà che ha raggiunto il suo Walter Bonatti. E quella di tutti gli altri che ci hanno lasciato. Ci ricordano quanto abbiamo bisogno e quanto siano importanti le nostre storie e le storie di tutti, in montagna e nella vita. Anche per l’anno che verrà.
Vinicio Stefanello
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